Intervista a Carlo Galli

Prosegue il nostro percorso nella ricezione del pensiero löwithiano con la decisiva intervista a Carlo Galli, tra i maggiori filosofi contemporanei, che ha curato l’edizione italiana dell’importante libro di Karl Löwith “Il nichilismo europeo” ed ha dedicato ampio spazio a Löwith nel saggio “Carl Schmitt nella cultura italiana".

NOTA BIOGRAFICA

Carlo Galli (Modena, 1950), laureato in Filosofia (1972) all’Università di Bologna, nel 1978 inizia la carriera universitaria; attualmente è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l'Università di Bologna.

 

Nel 1987, insieme a Nicola Matteucci, Roberto Esposito e Giuseppe Duso, ha fondato la rivista “Filosofia politica” (Bologna, Il Mulino), di cui dal 2005 è direttore responsabile.

 

Con Roberto Esposito ha curato l'Enciclopedia del pensiero politico (Roma-Bari, Laterza, 2000, 2005 nuova edizione) e per Laterza, dal 2001, dirige la serie “Comunità e libertà”. Ha ideato e dirige numerose collane editoriali presso la casa editrice il Mulino. Dal 2006 al 2012 è stato  presidente del Consiglio editoriale della casa editrice Il Mulino e membro del Comitato direttivo dell’Associazione Il Mulino; dal 2008 al 2012 è stato presidente della classe di Scienze Morali dell’Accademia delle Scienze di Bologna.

Dal 2009 e' presidente della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna.

Nel 2013 è stato eletto alla Camera dei Deputati per il Pd.

 

I suoi interessi di ricerca riguardano in particolare la storia del pensiero politico moderno e contemporaneo; ha pubblicato volumi e saggi sulla Scuola di Francoforte, sui pensatori controrivoluzionari francesi, su Machiavelli, Hobbes, Weber, Arendt, Strauss, Voegelin, Löwith, Jünger, Schmitt, Vitoria (degli ultimi tre autori ha anche tradotto diversi testi).

Ha pubblicato saggi e partecipato a diversi progetti di ricerca dedicati ad alcuni dei principali concetti della teoria politica, quali autorità, rappresentanza, tecnica, Stato, guerra, etica, natura, politica, totalitarismo, modernità, cittadino/straniero, nichilismo, male, spazio, globalizzazione, multiculturalismo, destra/sinistra, teologia politica, democrazia.

 

Tra le ultime pubblicazioni si ricordano “Contingenza e necessità nella ragione politica moderna”, Laterza, 2009”; “Perché ancora Destra e Sinistra”, Laterza, 2010; “Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno”, Il Mulino, 2010 (II ed.); “I riluttanti. Le élites italiane davanti alla responsabilità”, Laterza, 2012, “Sinistra. Per il lavoro, per la democrazia”, Mondadori, 2013, “Itinerario nelle crisi”, Mondadori Bruno, 2013.

Collabora a numerosi quotidiani, fra cui "la Repubblica".

In campo “löwithiano” ha curato l’edizione italiana dell’importante libro di Karl Löwith “Il nichilismo europeo. Considerazioni sugli antefatti spirituali della guerra europea” (Laterza, Roma-Bari 2006) dove ha scritto la “Prefazione”; inoltre, ha dedicato ampio spazio a Löwith nel saggio “Carl Schmitt nella cultura italiana (1924-1978). Storia, bilancio, prospettive di una presenza problematica”, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», IX, n. 1, 1979, pp. 81-160, ora disponibile anche in “Storicamente”, volume 6, 2010, http://www.storicamente.org/01_fonti/Galli_Carl_Schmitt.htm

INTERVISTA (15 settembre 2013)

Marco Bruni: Come è avvenuto il suo incontro con il pensiero di Karl Löwith e quale ruolo ha avuto nella sua formazione filosofica?

 

Carlo Galli: Da Hegel a Nietzsche credo sia stato il libro di filosofia che ho letto per primo nella mia vita, per curiosità intellettuale; credo di averlo letto a sedici anni, capendoci il poco che potevo. Ce l’ho qui nelle mie mani, molto mal messo, molto sottolineato: ero veramente molto engagé in quel libro. E’ un testo che mi ha formato, che mi ha dato uno schema, di cui da tempo riconosco la storicità, la relatività, la contingenza. Di questo grande affresco non misuravo veramente l’elemento drammatico nascosto, che ora naturalmente capisco. Dunque, Löwith è un autore che mi ha segnato: è attraverso Löwith che sono poi risalito da una parte a Hegel e ai francofortesi e dall’altra a Heidegger, per scendere poi al pensiero negativo, a Schmitt e a Jünger.

 

 

M. B.: Lei ha curato il saggio löwithiano Il nichilismo europeo. Considerazioni sugli antefatti spirituali della Guerra europea (Laterza, Roma-Bari 2006) e nella sua prefazione al libro viene sottolineata l’importanza dell’idea di mediazione e del suo venir meno. Cosa può dirci a tal proposito?

 

C. G.: La mediazione è il passato perduto per Löwith. Löwith concorda con coloro i quali criticano l’idea che la mediazione sia la struttura teorica del Moderno: infatti essa è la struttura teorica del Moderno dal punto di vista della sua autocomprensione, seconda la quale la modernità è l’epoca della mediazione, cioè l’epoca del logos dispiegato, del logos che si intreccia alla realtà. Löwith dice che ciò è effettivamente vero dall’Illuminismo a Hegel, ma dopo Hegel si spacca la struttura teoretica del reale, e, dunque, l’umanità europea è costretta a vivere in un contesto in cui la mediazione non funziona più, cioè nel nichilismo. Questo per lui non è per nulla un buon motivo per seguire Nietzsche, Heidegger e Schmitt. Alla mediazione finita non si reagisce approfondendo nichilisticamente l’immediatezza, ma si reagisce con tentativi di raggiungere una oggettività sostanziale, che si sottragga tanto alla mediazione quanto al nichilismo – e questa oggettività si può chiamare Natura. Da questo punto di vista c’è un parallelismo con Voegelin, intellettualmente, però, meno dotato di Löwith. Anche Voegelin costruisce tutta la propria riflessione sul tema dell’invarianza della natura umana. Non è vero che la storia costruisce le soggettività (Hegel) o le decostruisce (Heidegger): le soggettività attraversano la storia. Ora lei mi può dire che Löwith è troppo raffinato per proporre un’ontologia volgare, però certamente la sua riflessione lo rende un uomo del ‘900, con tutta la polemica contro l’idealismo. Proprio sul tema della mediazione dimostra che questo ha fallito, che la mediazione è impossibile; però è anche impossibile proseguire disperatamente nell’abisso (l’abissalità dell’anima tedesca fa quindi parte del problema).

 

 

M. B.: Tenendo conto che lei ha scritto un volume fondamentale su Carl Schmitt (Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Il Mulino, Bologna 2010) e che lo stesso Löwith si confrontò criticamente con Schmitt (Politischer Dezisionismus), potrebbe dirci qualcosa a proposito del rapporto filosofico tra questi due grandi autori del secolo scorso?

 

C. G.: Per quanto riguarda il rapporto tra Löwith e Carl Schmitt, esiste un mio lunghissimo saggio del 1979 che si intitola Carl Schmitt nella cultura italiana (1924-1978). Storia, bilancio, prospettive di una presenza problematica, pubblicato allora su una rivista cartacea Materiali per una storia della cultura giuridica del Mulino (IX, n. 1, 1979, pp. 81-160), che nel 2010 è stato ripubblicato in una rivista online, Storicamente (vol. 6, 2010). In questo mio saggio giovanile, il mio primo confronto massiccio con Carl Schmitt attraverso la sua fortuna italiana, naturalmente c’è grandissimo spazio per Löwith. Il testo di Löwith coglie sicuramente un problema di Schmitt e ha una qualità teoretica superiore ad ogni altro intervento su di lui, soprattutto rispetto alla bibliografia che era disponibile allora, una qualità teoretica che spicca e mi ha anche in quel caso profondamente segnato. Si deve contestualizzare: Löwith scrive quel saggio contro uno Schmitt che si stava comportando in un modo per molti incomprensibile, cioè era diventato niente meno che nazista: Löwith spiega che in ciò non c’è niente di incomprensibile non perché Schmitt sia sempre stato nazista fin da quando era bambino, che è la tesi di Zarka, ma perchè Schmitt dà una struttura occasionalistica al proprio pensiero, il che è vero. Löwith dice di Schmitt quello che dice di Heidegger, ovvero che entrambi si sono mangiati il logos a furia di approfondire - il demone tedesco della profondità - e adesso sono in balia di forze che li trascendono e, a dispetto di tali forze, credono ancora di poter avere una funzione direttiva, mentre sono soltanto dei fantocci che assecondano un potere criminale. Difficile dare torto a Löwith, che ha scritto questo saggio nel ’36, molto difficile dargli torto. Anche se in realtà Schmitt e Heidegger si detestavano l’un l’altro, anche se hanno storie e biografie intellettuali completamente diverse, vi è tra loro un’aria di famiglia, poiché entrambi, con diversa consapevolezza, sono interni al grande lascito nicciano degli anni 20-30; si tratta del niccianesimo che avanza l’istanza teoretica della sconnessione di principio tra logos e realtà. Un assunto fatto proprio anche da Schmitt, che egli lo sappia o no (mentre Heidegger, invece, lo sa fin troppo bene), e che, ovviamente, implica un guadagno teoretico enorme e una perdita pratica altrettanto enorme: è quindi difficile e ingeneroso dire a Löwith che egli è ingeneroso nel liquidare questi autori. Lo stesso Schmitt, poi, interviene su Löwith nel 1951, recensendo Meaning in history. In questo piccolo testo di Schmitt (Drei Stufen historischer Sinngebung), l’unico intervento di Schmitt su Löwith, naturalmente il tema è la teologia politica. Schmitt contesta che la secolarizzazione sia ciò che Löwith dice che sia, ovvero la mondanizzazione dell’eschaton, e sostiene invece che è la teologia politica, ovvero la struttura teorica del Moderno che contiene le proprie aporie, la propria incompletezza: una tesi tanto affascinante da una parte quanto reazionaria dall’altra. Ora questo breve testo è anche tradotto in italiano nel libro di Schmitt curato da Agamben, edito da Neri Pozza nel 2005, Un giurista davanti a se stesso (Tre possibilità di una immagine cristiana della storia).

 

 

M. B.: A partire da quanto detto fin qui, qual è, allora, secondo lei l’“attualità” del pensiero di Löwith?

 

C. G.: L’attualità c’è sul tema della teologia politica, che è un ambito e una modalità di riflessione sulla politica che costituisce la struttura teoretica della modernità: è questo il motivo per cui ogni generazione se ne accorge, a modo suo. E’ molto difficile eludere il tema della teologia politica, sul quale Löwith è a sua volta un autore che non può essere emarginato. Egli, naturalmente, pensa che la teologia politica sia il male della modernità; soprattutto l’ultimo Löwith, di fatto, schiaccia la teologia politica sulla secolarizzazione dell’eschaton e, dunque, sul necessario tradimento della trascendenza nell’immanenza, con tutto quello che ciò poteva significare per un uomo che aveva fatto la sua drammatica esperienza. Di qui il suo tentativo di parlare di qualche cosa che sia invariante rispetto alle dimensioni del tempo, la natura umana o quello che vogliamo. Un tempo non lineare, non il tempo-freccia, non un tempo progressivo, che è necessariamente per lui soggetto alla secolarizzazione, sicuramente cattiva in sé perché è male secolarizzare la trascendenza (tipico tema del pensiero ebraico). Ora tutto ciò è molto comprensibile, benché secondo il mio parere dia adito a qualche elemento di elusione (oggi; Löwith invece non elude proprio niente, perché voleva in realtà uscire da un meccanismo che conosceva fin troppo bene e che lo aveva quasi stritolato). Le mie riserve sono sullo schematismo, lo schematismo che è presente nella riflessione di Löwith, ma stiamo attenti perché lo schematismo è anche presente nella riflessione opposta, cioè in quella di Lukács. Rispetto al grande libro di Löwith, Da Hegel a Nietzsche, La distruzione della ragione è in qualche modo il contraltare altrettanto (e anche più) schematico. Quindi c’è ancora spazio per Löwith, che è un grande teorico, un grande pensatore, un autore di prim’ordine, e non soltanto dal punto di vista erudito dello storico della filosofia (ricordiamo l’antologia sulla sinistra hegeliana); che è insomma un autore che stimola e ci interroga su alcuni dei quesiti che sono ancora aperti, la teologia politica e la secolarizzazione.

Il nome di Karl Löwith è spesso associato ai suoi lavori di storia della filosofia e alla sua attività di "scepsi storiografica"  (segue)

Sezioni del sito

O. Franceschelli - Intervista su Karl Löwith

Karl Löwith - Treccani.it

Karl Löwith - New School Philosophy

Karl Löwith, Storia e natura. Scritti su idealismo e sinistra hegeliana, a cura di Flavio Orecchio, Castelvecchi, Roma, 2023.

Karl Löwith, Il cosmo e le sfide della storia, a cura di O. Franceschelli, Donzelli Editore, Roma, 2023.

S. Griffioen, Contesting modernity in the German secularization debat: Karl Löwith, Hans Blumenberg and Carl Schmitt in polemical contexts, Brill, Leiden, 2022.

Donaggio E., Karl Löwith: eine philosophische Biographie, tr. ted. di A. Staude con la collaborazione di M. Rottman, J.B. Metzler, Berlin, 2021.

Seconda edizione

Liebsch B., Verzeitlichte Welt: Zehn Studien zur Aktualität der Philosophie Karl Löwiths, J.B. Metzler, Berlin 2020.

Nuova edizione

Löwith K., Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, a cura di O. Franceschelli, Donzelli, Roma, 2018.

Karl Löwith, Sul senso della storia, a cura di M. Bruni, Mimesis, 2017.

Heidegger M., Löwith K., Carteggio 1919-1973: Martin Heidegger e Karl Löwith, edizione critica di A. Denker, a cura di G. Tidona, ETS, Pisa, 2017.

Fazio G., Il tempo della secolarizzazione. Karl Löwith e la modernità, Mimesis, Milano-Udine, 2015.

A. Tagliapietra, M. Bruni (a cura di), Le Rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, traduzione di M. Bruni, Mimesis, 2016.

Premio Nazionale Filosofia Frascati - 2016

Società Natura Storia. Studi in onore di Lorenzo Calabi, a cura di A. Civello, Edizioni ETS, 2016.

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